Un lungo applauso e standing ovation per Ambra Angiolini al Teatro Massimo di Cagliari con Oliva Denaro. Un intenso monologo, tratto dal romanzo di Viola Ardone, che racconta la storia di Franca Viola, la giovane ragazza di Alcamo che negli anni ’60 fu rapita, stuprata e poi chiesta in moglie ma che rifiutò il matrimonio riparatore segnando un prima e un dopo nella storia del nostro Paese.
Prodotto da GoldenArt Production e Agidi, in scena per la Stagione 2024-2025 de La Grande Prosa organizzata dal CeDAC, con scene di Guido Fiorato e luci di Marco Filibeck, il monologo è fedele al romanzo. C’è però il necessario adattamento del linguaggio che il teatro richiede, arricchito da alcune frasi di Franca Viola, «per restituire un po’ di verità legale», per volere di Ambra Angiolini che firma la drammaturgia insieme al regista Giorgio Gallione.
Le musiche di Paolo Silvestri e le canzoni di Mina sono la colonna sonora di una storia di ribellione, di libertà e di coraggio. Oliva compie scelte ogni giorno, piccole e grandi, osserva il mondo con grande curiosità, si rifugia nelle declinazioni latine che ripete come un mantra per controllare la paura, ha le idee chiare su ciò a cui è “favorevole” o “non favorevole”.
Pur trattandosi di un monologo, quasi non lo si vive come tale perché Ambra in realtà porta tutti i personaggi sul palco con un’interpretazione magistrale, un crescendo di emozione e di attesa fino a quel “no” finale detto con una forza e una determinazione tali da ammutolire. Un “no” gridato al giudice, al suo stupratore e alla società patriarcale tutta; un “no” che respinge quell’art. 544 del Codice penale, una legge che «che fa talmente schifo che non riuscivo nemmeno a memorizzarla, una legge che costringeva le donne a pensare che quello era l’amore, che l’amore è sopportazione. E noi abbiamo sopportato finché una ha detto no! Quel no ha cambiato tutto – prosegue Ambra Angiolini – «ma che pronunciato anche da tutte quelle ragazze che sono morte per mano di quelli orribili personaggi che non sono mariti tanto meno, ancora non viene ascoltato».
Saluta il pubblico del Teatro Massimo con un appello che è quasi una preghiera: «Ricordatevelo, vi prego, spiegatelo ai ragazzi, dite loro che quando una donna dice no ci si deve allontanare, perché in quella distanza c’è l’amore. La si deve lasciare libera, anche di andarsene. Questo non toglie niente a lui, ma da tanto a lei: le restituisce il fatto di essere “cosa sua”, un essere umano che ha tutto il diritto di scegliere».
Molta strada è stata fatta da quell’art. 544, dal no di Franca Viola, da quel 5 ottobre 1981 che vede l’abolizione dal nostro Codice penale del delitto d’onore e del matrimonio riparatore. Due reati figli di un’idea di donna che non è soggetto di diritto ma oggetto del diritto altrui. Non possiamo negare che ancora oggi spesso la donna venga definita con un’identità “derivata” o “per associazione” più che propria: è la moglie di, la fidanzata di, l’ex di: anche questa è una forma di violenza o comunque di privazione.
E allora con gratitudine verso Franca Viola e verso chiunque sia impegnato a insegnare rispetto e considerazione, con una determinazione e un ottimismo spesso difficile da conservare, con la rabbia che sa essere un motore eccezionale, proseguiamo dritti verso l’obiettivo, perché ci sono ancora tanti “no” da gridare, perché nessun diritto può dirsi acquisito per sempre.